All’imbrunire, come tradizione vuole, dalla chiesa della SS.Trinità prende le mosse il corteo in saio rosso del Venerdi Santo. E’ la struggente rappresentazione del “rito funebre” della traslazione del Cristo, deposto dalla Croce, verso il Sepolcro. Narra il Vangelo di Marco (15,46) che un membro del sinedrio, Giuseppe d’Arimatea, ebbe autorizzazione da Pilato a deporre il corpo di Gesù e “comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia”. Non si conosce la data della prima processione del Venerdi Santo a Sulmona. Ma è certo che il primo Venerdi Santo trinitario risale alla sera del 13 aprile 1827. Un documento custodito nell’archivio dell’Arcisodalizio attesta infatti che quell’anno l’organizzazione del corteo del Cristo Morto passò dalla Congrega dei Nobili all’Arciconfraternita trinitaria. La disposizione del corteo del Venerdi Santo è mutuata da quella della processione che i trinitari romani di S.Filippo Neri, tenevano la sera del Giovedì Santo. Unica novità venne rappresentata, dal 1750, dalla sostituzione del crocifisso con il maestoso Tronco. Ancor oggi la processione si apre con il quadrato dei lampioni a fare corona intorno al Tronco, grande Croce vacua, in velluto cremisi, un’opera risalente al 1750, di cui fu autore l’artigiano sulmonese Nicola Gizzi. La grande Croce è intarsiata di tralci d’argento, a ricordo del passo del Vangelo di Giovanni (15,5):”Io sono la vite, voi i tralci…”.
Sulla sommità del Tronco è posto un cartiglio argentato, dello stesso 1750, con la scritta INRI Iusus Nazarenus Rex Iudeorum (Gesù Nazareno Re dei Giudei). Poco più in basso del cartiglio viene l’onorificenza attribuita all’Arciconfraternita da Papa Pio XI, a motivo della partecipazione a l’Anno Santo del 1925. Due lunghe file parallele di lampioni, subito dopo il quadrato del Tronco, precedono il Coro composto da un centinaio di cantori, tenori e bassi, che intonano il Miserere, camminando con il passo cadenzato dallo “struscio”. Quindi, sostenute sulle spalle dai sacristani d’onore, anche loro procedenti con lo “struscio”, appaiono la Bara del Cristo Morto e la statua della Madre Addolorata. La Bara di fattura di scuola napoletana è della stessa epoca del Tronco ma resta ignoto l’autore, forse tal Pizzola o Pizzala. In processione la bara è avvolta in una coperta scura, trapunta da ricami in filo dorato con i simboli della Passione. Simboli d’argento, sostenuti da quattro angioli, che figurano ai lati della stessa Bara del Cristo Morto. In anni recenti il simulacro del Cristo Morto, custodito in una teca, ai piedi dell’altare della SS.Trinità, nel tempio della Confraternita, è stato sottoposto ad una delicata opera di restauro curata dalla Soprintendenza ai Beni culturali d’Abruzzo. La Madre Addolorata è figura esile, come nella più diffusa iconografia, avvolta in gramaglie e con “la spada che trafigge l’anima” (Vangelo di Luca, 2,35). La Bara è preceduta dal Vescovo e dal parroco di S.Maria ad Nives, nella cui circoscrizione ricade la chiesa della SS.Trinità. La statua dell’Addolorata invece è seguita dalle consorelle, che indossano il loro scapolare su abito scuro e dal Cappellano, dagli amministratori e dai confratelli e sacristani benemeriti dell’Arcisodalizio. Il percorso della processione, a tratti tra immense ali di folla, disegna una croce. Nell’attraversare gran parte del centro storico il corteo trinitario tocca ben tredici chiese: S.Pietro, S.Gaetano, la Cattedrale di S. Panfilo, l’Annunziata, S.Domenico, S.Caterina, S.Rocco, S.Filippo Neri, S.Chiara, S.Maria della Tomba, S.Lucia, S.Maria del Carmelo e S.Francesco della Scarpa. Attualmente la processione fa rientro in chiesa intorno alla mezzanotte.